"Nel caso di specie, peraltro, vi era stato un accordo conciliativo mediante il quale le parti avevano convenuto un rientro parziale del debito contratto ad opera dell’attore-correntista con modalita’ accettate dalla banca, atto codesto da qualificarsi come transazione“conservativa” e non già “novativa”, essendosi le parti limitate a regolare il rapporto preesistente mediante reciproche concessioni senza crearne uno nuovo (cfr. Trib. Milano 25 febbraio 2015, nonché Cass. 14 giugno 2006 n. 13717, Cass. 12 gennaio 2006 n. 421, Cass. 23 marzo 2004 n. 5748 e Cass. 15 novembre 1997 n. 1330, nella situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto pre-esistente e quello avente causa nel rapporto transattivo con la conseguente insorgenza di una obbligazione oggettivamente diversa da quella pregressa). Sul punto, il Tribunale ha precisato opportunamente che anche nella c.d.“transazione conservativa”, il rapporto che ne discende è comunque regolato dall’accordo raggiunto tra le parti e non già da quello che in precedenza vincolava le parti medesime, con la conseguenza che la scoperta di successivi inadempimenti non rilevati al momento della transazione (o di nullità parziale di clausole negoziali) può essere fatta valere eventualmente con l’impugnazione dell’accodo transattivo per errore di diritto ex art. 1969 c.c. ( Cass. 13 maggio 2010 n. 11632 nonché Cass. 16 novembre 2006 n. 24377) o, eventualmente, mediante azione di nullità/annullamento ex art. 1972 c.c. essendo fondata su contratto illecito (perché contrario ex artt. 1283 cc secondo Trib. Bari 20 aprile 2011) o comunque su titolo nullo (secondo Cass. 10 luglio 1998 n. 6703). Tale orientamento è senz’altro condivisibile anche alla luce della recente sentenza della Suprema Corte – Sezione I – 11 novembre 2016, n. 23064, secondo cui “l’invalidità di singole clausole contrattuali, a meno che non risultino idonee ad evidenziare l’illiceità della causa o del motivo comune, è invece destinata a tradursi nella nullità dell’intero contratto soltanto ove se ne accerti l’essenzialità rispetto all’assetto degli interessi programmato dalle parti, e comporta non già la nullità, ma l’annullabilità della transazione” (cfr. Cass. Sez. I, 8 febbraio 2016, n. 2413). La Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte distrettuale in quanto, ai fini della declaratoria di invalidità della transazione, la sentenza gravata si era limitata a dare atto del carattere non novativo dell’accordo transattivo, ritenuto inidoneo ad estinguere il rapporto di conto corrente precedentemente intercorso tra le parti ed a sostituirlo con un nuovo rapporto, richiamando l’orientamento giurisprudenziale che afferma l’illiceità delle clausole del contratto di conto corrente che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi e facciano rinvio agli usi per la determinazione del relativo tasso, desumendone automaticamente la nullità della transazione, in quanto relativo ad un contratto illecito. Tale percorso argomentativo, secondo i Supremi Giudici della nomofilachia, non appare conforme alla disciplina dettata dall’art. 1972 c,c, la quale distingue tra la transazione relativa ad un contratto illecito e quella relativa ad un contratto nullo, dichiarando nulla la prima, anche se le parti abbiano trattato della nullità in questione (comma 1), ed annullabile la seconda soltanto ad istanza della parte che abbia ignorato la causa della nullità (comma 2). Poiché, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 2, l’illiceità del contratto consegue soltanto all’illiceità della causa o del motivo comune ad entrambi i contraenti, la dichiarazione di nullità della transazione presuppone un’indagine, da compiersi in relazione all’intero contenuto del contratto sottostante, volta a stabilire se l’assetto degli interessi complessivamente programmato dalle parti si ponga in contrasto con norme imperative, soltanto in tal caso operando il divieto di transigere anche se la nullità abbia rappresentato la questione controversa, con il conseguente ripristino della situazione anteriore alla stipulazione del negozio transattivo, e la correlata conservazione del precedente assetto negoziale (cfr. Cass., Sez. I, 31 maggio 2012, n. 8776). Di tal guisa, prosegue la Corte, la dichiarazione di nullità dell’accordo transattivo stipulato tra le parti non avrebbe potuto essere ricollegata automaticamente all’affermata invalidità delle clausole che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi e la commissione di massimo scoperto e rinviavano agli usi per la determinazione del relativo tasso, richiedendo, invece, uno specifico accertamento in ordine alla idoneità di tali clausole a rivelare l’illiceità della causa del contratto di conto corrente, nonché in caso di esclusione di tale idoneità, un’ulteriore verifica in ordine alla loro essenzialità, il cui riscontro non avrebbe peraltro potuto condurre alla dichiarazione di nullità, ma all’annullamento della transazione, subordinatamente all’accertamento dell’ignoranza del vizio da parte degli attori, nel caso de quo di parte opponente. Insomma, è sempre parte attrice onerata a fornire prova della nullità e/o della annullabilità del negozio transattivo, con la conseguenza che, in mancanza, la domanda attrice deve essere rigettata ex art. 2697 c.c.., nonché in base all’antico adagio latino “actore non probante reus absolvitur”.
Avv. Antonio Malerba
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